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0 – Punto di partenza

Facciamo il punto della situazione attuale e cominciamo dal riscaldamento globale.

#Clima

/ Alcuni dati

Esiste un’enorme quantità di dati fisici, valori e statistiche che illustrano la situazione attuale. Per cominciare ne userò tre:

(Notes: quando diciamo + xx°C: stiamo facendo un confronto con l’era preindustriale. Cioè, globalmente, 1850 / quando diciamo Gas ad effetto Serra (GES), intendiamo i gas a effetto serra. Si tratta di CO2 ma non solo (metano, protossido di azoto, ozono) +xx°C indica la temperatura di superficie media globale del pianeta, è un indicatore di tendenza, l’aumento e i fenomeni climatici che ne risultano non sono omogenei, per esempio l’aumento dei temperature registrate questi ultimi anni nel veneto mostra come le temperature giornaliere (medie, più bassa e più alta) sono più marcate  su Alpi e Prealpi rispetto alla pianura ).

1,5°c

Le continue emissioni di gas serra porteranno a un aumento del riscaldamento globale, con la migliore stima di raggiungere +1,5°C di riscaldamento globale nel breve termine, all’inizio del 2030.

Fonte IPCC Ar6 Synthesis Report

+65%

È ancora possibile limitare l’aumento della temperatura a +2°C nel 2100 (il limite fissato dagli accordi di Parigi). Per farlo dovremmo ridurre le nostre emissioni di gas serra del 65% in 10 anni; ma dal 1850 non siamo mai riusciti a ridurre queste emissioni tranne che durante la Covida (solo -7%).

Fonte IPCC Ar6 Synthesis Report

+3,2°C

Nel caso in cui TUTTI gli impegni attualmente assunti da governi e aziende siano mantenuti (e questo è già un grande scommessa ) l’aumento della temperatura sarà de +3,2°c in 2100.

Fonte IPCC Ar6 Synthesis Report

/ Non è così semplice.

È importante capire che la maggior parte dei fenomeni presi in considerazione non sono lineari. Alcuni effetti rendono le cose un po’ più complesse.

Ad esempio, ci sono anelli di retroazione/effetti soglia che causano reazioni a catena.

L’esempio più noto è quello del permafrost: il terreno ghiacciato nel nord della Russia e del Canada. Se la temperatura aumenta a sufficienza per scioglierlo, i gas serra in esso contenuti vengono rilasciati nell’aria, accelerando il processo di riscaldamento e quindi lo scioglimento del permafrost, e così via.

Un altro esempio è il caso della banchisa artica che, scomparendo a causa del riscaldamento globale, non rifletterà più i raggi solari (che prima raffreddavano l’atmosfera), creando così un altro circolo vizioso.

Esistono anche effetti di rottura o effetti di non ritorno.

Infatti la mutazione di una condizione ambientale può causare un cambiamento drastico dello stato di un ecosistema e, il ritorno della condizione al suo valore iniziale, non significa che l’ecosistema ritrovi il suo stato iniziale.

Diciamo che un aumento di X della concentrazione di gas serra nell’atmosfera porta a un aumento della temperatura di 1°C. Per tornare all’origine, si potrebbe pensare che basti abbassare la concentrazione di gas serra della stessa quantità di X ma, in realtà, uno sforzo molto maggiore è necessario per ridurre la temperatura

/ Conseguenze

Parliamo ora delle conseguenze di questo aumento della temperatura. Anche in questo caso potremmo dedicare molto tempo a fornire cifre sullo scioglimento dei ghiacci, sull’innalzamento del livello delle acque e sul numero di rifugiati climatici, ma siamo sopraffatti dalla difficoltà di immaginare le cose; è più facile visualizzare gli effetti su una mappa e soprattutto su una mappa del mondo.

Mappa: Il mondo a +4°C, di Parag Khanna. Le aree gialle, rosse e marroni sono quelle che sono diventate invivibili per l’uomo a causa della temperatura e dell’umidità o di eventi meteorologici estremi (siccità, inondazioni, innalzamento del livello del mare).

 Poiché è più facile immaginare cose vicine a noi possiamo citare un recente studio sugli impatti del riscaldamento globale di Legambiente: Rapporto https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2022/11/Rapporto-CittaClima-2022.pdf–  

“Al 2050 la mortalità dovuta alle ondate di calore aumenterà a Roma dell’8% e a Milano del 6% a causa della combinazione di temperature crescenti e concentrazione di inquinanti, come l’ozono e il PM10, a livello locale. In termini assoluti, secondo la ricerca, Roma potrebbe raggiungere i 591 decessi durante i mesi estivi a causa delle alte temperature e dell’inquinamento dell’aria. Si tratta di dati e stime in linea con numerosi altri studi, tra cui quelli realizzati nell’ambito del progetto “Copernicus European health” su 9 città europee, nel periodo 2021-2050 con un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370% e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050- 2080 fino al 1100%. Questo porterà, per esempio a Roma, da 2 a 28 i giorni di caldo estremo in media all’anno.”

Dobbiamo essere consapevoli che è proprio la sopravvivenza del genere umano nel Pianeta che stiamo mettendo a rischio.

#2 Cambiare il focus

Ma se il clima è ben visibile nei media, anche se la maggior parte delle persone non ne comprende ancora appieno le conseguenze, esso è solo uno degli aspetti dell’emergenza ecologica.

Questa focalizzazione sul clima è preoccupante in quanto (secondo le parole di Guillaume Sainteny) contribuisce a una “vampirizzazione delle politiche ambientali da parte della politica climatica”.

Qual è il problema? Innanzitutto, il numero di tonnellate di CO2 emesse sta gradualmente diventando l’unico criterio decisionale mentre altre forme di inquinamento (acqua, suolo, rumore, visivo) vengono tralasciate. In secondo luogo, confondendo clima e ambiente, stiamo rapidamente confondendo anche transizione ecologica e transizione energetica. Infine altre questioni ecologiche altrettanto preoccupanti sembrano sempre passare in secondo piano. Tuttavia, e questo è ciò che vedremo in seguito, sono numerose.

/ Biodiveristà – Noi insieme al nostro ambiente

Parliamo della biodiversità, un tema spesso messo in ombra dal riscaldamento globale, anche se altrettanto (più?) importante.

Anche in questo caso sono presenti una moltitudine di dati, uno più allarmante dell’altro. E anche in questo caso è difficile ricordarli, classificarli e immaginare cosa rappresentino. Ancora una volta, ci limiteremo a un dato semplice e rappresentativo

69%

La diminuzione percentuale delle dimensioni della popolazione di vertebrati dal 1970 al 2022

(secondo il rapporto Living Planet del WWF, una sintesi del quale può essere trovata qui https://www.wwf.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/living-planet-report/)

Come per il clima, il dibattito mediatico è oggi fuorviante e nasconde alcune realtà. Ci si concentra molto sull’estinzione di alcune specie simboliche, il panda e l’orso polare ne sono buoni esempi; naturalmente il panda e l’orso polare non devono scomparire, ma concentrandosi su queste specie-totem distoglie l’attenzione da altre estinzioni meno spettacolari ma molto più preoccupanti.  Queste specie vengono a volte definite “pilastro” perché svolgono un ruolo importante nei loro ecosistemi. È il caso dei lombrichi, per esempio. Chi parla dell’estinzione dei lombrichi? Non molti. Eppure contribuiscono a ossigenare e fertilizzare il suolo, senza il quale probabilmente non saremmo in grado di nutrirci.

È proprio l’uomo ad aver creato le condizioni per il declino della biodiversità. Sono diversi i fattori coinvolti: la pesca eccessiva (leggete l’articolo sulla Vaquita, guardate il documentario Seaspiracy ), l’uso massiccio di pesticidi, l’inquinamento, il riscaldamento globale e la trasformazione degli ambienti naturali. Concentriamoci su quest’ultimo punto poiché se ne parla meno anche se è dal XVIII secolo che tra coltivazioni intensive e deforestazione i paesaggi della terra sono stati trasformati.

Ecco un confronto tra il mondo com’era nel 1700 e nel 2000 (le aree dal giallo al verde sono aree seminaturali o selvagge, le aree nere e con toni rosse sono aree urbane o densamente popolate, i villaggi e i terreni coltivati e pascoli):

Fonte : Atlas de l’antropocène – Francois Gemenne e Alexsandar Rankovic

A parte l’aspetto etico di quella che viene definita la sesta estinzione di massa (la disparizione di 69 % dei vertebrati in 42 anni, e il 2 % per anni in medie per gli insetti secondo l’IPBES (l’IPCC per la biodiversità)) e che pone la questione della nostra posizione nei confronti degli esseri viventi, la convinzione, profondamente radicata nelle società sviluppate, che la “natura” sia una semplice risorsa che abbiamo il diritto di sfruttare e modificare come meglio crediamo, e che di fatto elimina ogni senso di responsabilità per la scomparsa di specie di fauna o flora o per la distruzione dell’intero ambiente… Dobbiamo renderci conto che il rispetto della biodiversità e dell’ambiente non è un’opzione per garantire la sostenibilità della nostra specie sul pianeta.  

Abbiamo bisogno di questa biodiversità o meglio non sappiamo come farne a meno se consideriamo, ad esempio, che oltre il 75% delle colture dipende dall’impollinazione (rapporto sugli impollinatori, l’impollinazione e la produzione alimentare dell’IPBES). Il ruolo delle api in questo processo è ben noto, ma anche altri animali sono molto utili alle nostre colture, come i pipistrelli, la cui importanza è meno conosciuta.

Siamo uno dei componenti di sistemi complessi che creano le condizioni per la nostra esistenza, ma le nostre azioni e il nostro impatto su di essi creano squilibri che minacciano la biodiversità di cui siamo parte integrante.

La salute dell’ambiente, della biodiversità, è inestricabilmente legata alla nostra. Questo è il concetto di One Health

/ L’impronta umana.

 Il secondo punto è l’impronta umana sulla Terra.

Perché per misurare correttamente il nostro ruolo nel riscaldamento globale e nell’erosione della biodiversità è importante capire l’intensità della nostra presenza.

In questo modo si elimina un dubbio: Sì, siamo abbastanza grandi da distruggere la Terra da soli.

Un concetto è particolarmente utile per comprendere questa idea. Si tratta della tecnosfera. La tecnosfera è l’insieme delle infrastrutture che gli esseri umani hanno costruito per garantire la loro sopravvivenza e la loro vita sulla Terra; comprende gli edifici in cui vivono e lavorano, le strade che utilizzano, le fabbriche, i ponti, le miniere, le ferrovie, le cave… ma anche gli animali che allevano e le piante che coltivano. È stato stimato che questa tecnosfera pesa… 30.000 miliardi di tonnellate (secondo il lavoro di Jan Zalasiewicz, riassunto di seguito) ovvero 50 chilogrammi per metro quadrato sull’intera superficie terrestre.

L’impronta umana può essere compresa anche in termini di un secondo aspetto: l’inquinamento. Quando parliamo di inquinamento, dobbiamo considerare anche l’inquinamento acustico e visivo generato dall’uomo che disturba notevolmente gli ecosistemi naturali.

Il più conosciuto è quello della plastica (sull’inquinamento dei oceani dalla plastica  guardate questo video.)

Se preferite rimanere in Europa, leggete gli articoli di “Le Scienze” sull’inquinamento da PFAS, un inquinante “eterno” nel senso che la natura non riesce a eliminarlo e si trova quasi ovunque sul pianeta, e nell’acqua piovana.

Milioni di anni dopo la nostra scomparsa, tutte le tracce della nostra civiltà e della nostra tecnosfera saranno scomparse, ma questi inquinanti chimici “eterni” saranno la prova per eventuali archeologi extra-terrestri che siamo esistiti, senza una grande cura per il nostro ambiante e noi stessi…..

E tutto questo lo abbiamo ottenuto in tempi record, confrontandoci con il tempo geologico.

Questo è anche un altro modo di vedere l’impronta umana, il tempo che abbiamo impiegato per arrivare a questo punto.

L’uomo, infatti, è arrivato sulla Terra solo in tempi relativamente recenti: 4 milioni di anni fa e l’Homo Sapiens 300.000 anni fa.

Se riassumiamo la storia della terra in un anno

> Il 1° gennaio appare la Terra.

> il 13 novembre appare le prime forme di vita unicellulare.

> le prime piante il 24 novembre.

> I dinosauri compaiono solo nel mese di dicembre. E scompaiono verso il 26 dicembre.

> Il 27 dicembre inizia l’era dei mammiferi

> il 31 decembre appare il genere Homo

> il 31 dicembre alle 23.59 inizia l’uomo inizia l’agricoltura

> E la rivoluzione industriale (cioè il momento in cui abbiamo iniziato a uscire dai binari) arriva alle 23:59, 59 secondi

Non ci abbiamo messo molto a invadere il mondo con la nostra tecnosfera e il nostro inquinamento e, così facendo, a metterci in pericolo.

Un modo per vedere le cose è considerare che siamo entrati in una nuova era geologica: l‘Antropocene. Letteralmente significa “età dell’uomo” ed è caratterizzata dal fatto che “l’impronta umana sull’ambiente planetario è diventata così vasta e intensa da rivaleggiare con alcune delle grandi forze della natura in termini di impatto sul sistema Terra” (secondo le parole di Paul Crutzen, che ha reso popolare il termine).

L’Antropocene è l’era dell’impatto umano, in cui gli esseri umani sono diventati così predatori del loro ambiente da diventare la principale forza geologica.  In altre parole, è l’era della rottura dell’equilibrio fondamentale tra il pianeta e gli uomini e le donne che lo abitano. In questo senso, l’Antropocene segue l’Olocene, un periodo che si estende da 10.000 anni fa a oggi, che ha visto la crescita dell’umanità ed è notevole per la sua grande clemenza climatica.

Dipendenze e esaurimento /

Un altro punto importante per affrontare la situazione ecologica in modo diverso è ricordare che, come abbiamo già detto per la biodiversità, siamo in presenza di situazioni che derivano dall’interazione degli ecosistemi. La modifica del sistema climatico indurrà una variazione su diversi altri sistemi come il ciclo dell’acqua, gli oceani, …. che a loro volta avranno impatti su altri ecosistemi.

 Questa visione sistemica deve essere presa in considerazione anche nell’analisi del funzionamento delle nostre società, e in particolare dobbiamo essere consapevoli della nostra dipendenza da materie prime che non sono infinite.

Prendiamo l’esempio della straordinaria dipendenza della nostra civiltà dai combustibili fossili. Questi (e il petrolio in particolare) hanno trasformato notevolmente la società in cui viviamo (aumento del tenore di vita, meccanizzazione dell’agricoltura, sviluppo dell’industria e dei servizi, globalizzazione, ecc.) Oggi il petrolio viene utilizzato praticamente per tutto: mobilità delle persone e delle merci, riscaldamento, prodotti petrolchimici. E quest’ultima parte è ampia perché senza petrolio non c’è plastica. Senza petrolio, niente solventi, niente detersivi, niente bitume. Niente fertilizzanti.

Niente energie rinnovabili (pannelli solari, energia eolica, batterie…) a costi ragionevoli, perché la produzione dei loro diversi componenti richiede molta energia che per il momento è fornita in grande parte dal petrolio.

Il problema è che il petrolio non è disponibile in quantità infinite (nonostante quello che dicono alcuni). Certo, non tutte le riserve sono note, ma si tratta di uno stock e non di un flusso. Questo implica che c’è effettivamente un picco del petrolio. Vale a dire che ci sarà un punto in cui la quantità di petrolio prodotta non potrà che diminuire. Secondo questo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, abbiamo superato questo picco nel 2008 per il cosiddetto petrolio convenzionale (il petrolio “economico” che abbiamo sempre estratto). Da allora, se la quantità globale di petrolio non è diminuita, è perché il cosiddetto petrolio non convenzionale ha preso il sopravvento. Questo include il petrolio di scisto, che è più costoso perché è molto più profondo e accessibile solo attraverso tecniche controverse di fratturazione della crosta terrestre.  Eppure possiamo leggere sul sito de l’AIE

 “Depending on the extent of government policy initiatives and the pace of consumer behaviour changes, global peak oil use could come anytime between the mid-2020s and the mid-2030s.”

Sul grafico sotto, possiamo vedere le previsioni del’AIE (World Energy Outlook 2018) di produzione dei diversi tipi di petrolio.

Nostra civilizzazione è basata in grande parte sulle energie Fossile e particolarmente su quella del petrolio e pure, in un futuro prossimo di circa 5 anni, ne produrremo meno anno dopo anno….   

Potrebbe essere una buona notizia per le emissioni di CO2, ma forse è davvero giunto il momento di prenderne coscienza e di iniziare a organizzarci per compiere la transizione che ci porterà verso una civiltà più sostenibile, perché se la diminuzione dell’uso delle energie fossile è programmata, costruita per portarci verso un mondo più sostenibile sarà gradita. Ma se viene subita, rischia di portare con sé gravi problemi sociali ed economici che potrebbero ostacolare seriamente le azioni da intraprendere per affrontare le crisi che abbiamo di fronte.

La sfida è immensa perché dobbiamo ricordare che questo non è mai successo, né per il petrolio né per altre fonti energetiche: non abbiamo mai sostituito una fonte energetica con un’altra (è controintuitivo ma non abbiamo mai usato tanto carbone come oggi).  Abbiamo sempre accumulato, sommato. 

La corsa alla crescita e al consumo non prevede la possibilità di crescere senza continuare a utilizzare sempre più materie prime, senza aumentare la nostra impronta ambientale.

Si parla molto di “transizione energetica” per ottenere una “crescita verde”, basata sull’uso di energie rinnovabili per sostituire il petrolio e i combustibili fossili in generale. Ma questo copre solo una parte del problema e ancora una volta ci si concentra su un termine. È ovvio che le batterie sostituiranno il carburante nelle auto. Ma oggi non sappiamo come produrre la turbina eolica che alimenta la batteria senza petrolio. Né possiamo far decollare un aereo senza carburante. Né possiamo nutrire 7 miliardi di persone con diete fortemente carne senza fertilizzanti chimici.

Attenzione, anche i metalli che estraiamo ogni giorno sono scorte. E anche loro (rame, oro, cobalto, ecc.) sono indispensabili per noi e anche loro non sono inesauribili.

Per i più tecno-ottimisti, questi problemi saranno risolti dal genio umano e dal progresso tecnico. Per gli economisti addetti alla crescita senza fine è ancora più semplice, i problemi non esistono, il mercato regola tutto è quando una materia inizia a esaurirsi, il mercato con la legge de l’offerta e della domanda (la materia rara diventa più cara) organizza il sistema produttivo (spostando i finanziamenti) per trovare delle soluzioni di sostituzione. Forse non è cosi semplice, tutte le materie prime non essendo tutti sostituibile, ma in più questo modello non tiene conto degli impatti ambientali che il sistema produce.

#3 Conclusione

Avete il diritto di sentirvi a disagio dopo aver letto questo testo.

Infatti, il problema del clima è solo uno dei problemi ambientali che dobbiamo affrontare. Ma ha il vantaggio di essere presente nei media e di darci l’opportunità di riflettere.

La soluzione non può essere solo tecnica, dobbiamo giocare su diverse leve per portare una soluzione sistemica al problema degli effetti dei gas serra.

Ad esempio, cambiare i 1,4 miliardi di auto termiche attualmente in circolazione nel mondo con delle auto elettriche per ridurre le emissioni di CO2 è un’assurdità. La produzione di queste auto, la loro alimentazione elettrica, produrrà effetti negativi (distruzione dell’ambiente per reperire le materie prime, aumento della produzione elettrica di gas e carbone per soddisfare l’aumento del fabbisogno,) che saranno maggiori dei benefici ottenuti se si rimane nell’attuale modello di produzione e utilizzo dell’auto.

La soluzione sta nell’elettrificazione, ma soprattutto in un cambiamento di abitudini e stili di vita che renda diverso l’uso dell’auto. Priorità alla mobilità dolce in città e sulle brevi distanze (bicicletta elettrica), densificazione del trasporto pubblico, uso collettivo dell’auto, uso del treno per le medie e lunghe distanze….

Perché solo un cambiamento delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita, non solo individuali ma anche sociali, può avere un forte impatto sulla nostra impronta ambientale.

Nei prossimi articoli approfondiremo i diversi argomenti trattati e gli esempi di possibili soluzioni.

In attese rimanete fiduciosi

Articolo inspirato da “l’école buissonnière – le constat -Yoan, Lucas, Joseph”

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