5 – Quinta Stazione – Limiti planetari

Il cambiamento climatico, l’unico pericolo?

Oggi il cambiamento climatico è al centro dei dibattiti (insufficienti e spesso più politici e ideologici che scientifici e oggettivi), azioni e risorse (anche se ancora largamente insufficienti).

L’attuale cambiamento climatico è dovuto all’attività umana e alle sue emissioni di gas serra come la CO2, generate principalmente dall’uso di combustibili fossili. (vedi 2 – Seconda Stazione – # AR6 Rapporto di Sintesi – A) Stato attuale e tendenze).

Le conseguenze del cambiamento climatico rappresentano un pericolo esistenziale per le società umane, per la specie umana in generale e per il mondo vivente così come lo conosciamo.

Tuttavia, non sarebbe sufficiente limitare la lotta al cambiamento climatico alla sola transizione ecologica, ignorando gli altri aspetti. È un’illusione credere che il cambiamento climatico sia l’unico processo di mutamento ambientale che abbiamo innescato e che dobbiamo gestire.

L’impronta delle società umane sull’ambiente è molteplice e i suoi effetti sistemici sono complessi, ma i loro impatti sono così significativi che siamo entrati nell’era dell’Antropocene (vedi 0 – Punto di partenza).

I 9 limiti planetari

Con l’ingresso nell’era della rivoluzione industriale, l’umanità, in particolare attraverso le società occidentali, è diventata la principale forza in grado di trasformare la Terra nel suo complesso.

In queste condizioni, l’equilibrio terrestre si è notevolmente deteriorato nel giro di pochi secoli, al punto che sta diventando complesso valutare le conseguenze delle attività umane sulla natura.

Un team internazionale di 26 ricercatori, guidato da Johan Rockström e Will Steffen, ha elaborato il concetto di limiti planetari nel 2009. Il team ha pubblicato un articolo intitolato “Planetary Boundaries: Exploring the Safe Operating Space for Humanity” sulla rivista Ecology and Society. In esso hanno definito per la prima volta 7 limiti planetari e hanno fornito un indicatore per ciascuno di essi.

Nel febbraio 2015, gli autori hanno pubblicato un aggiornamento del loro lavoro sulla rivista Science: “Planetary boundaries: Guiding human development on a changing planet”.

  •  Tre confini rimangono invariati: il cambiamento climatico, l’assottigliamento dell’ozono stratosferico e l’acidificazione degli oceani.
  •  L’erosione della biodiversità è ora divisa in due sotto-limiti. Da un lato, la diversità genetica che rappresenta la varietà di geni negli organismi. Dall’altro, la diversità funzionale che rappresenta la varietà di forme di vita in un ecosistema e le loro interazioni all’interno di tale spazio.
  • Il limite dell’inquinamento atmosferico è diventato l’introduzione di nuove entità nell’ecosistema. Queste nuove entità includono nuove sostanze, nuove forme di sostanze esistenti o forme di vita modificate.
  • L’aumento degli aerosol nell’atmosfera non è ancora stato quantificato.

Il concetto di limiti planetari cerca di definire uno spazio di stabilità, uno spazio sicuro per lo “sviluppo” dell’umanità su 9 processi biofisici che regolano la stabilità e la resilienza del sistema Terra. 

Questi limiti cominciano a essere riconosciuti e presi in considerazione da molte organizzazioni e Stati (ONU, UE, ecc.), anche se, come ogni modello, sono aperti alle critiche.

I 9 processi biofisici rappresentativi del corretto funzionamento del pianeta Terra sono:

  • Cambiamento climatico – si misura la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, che deve essere inferiore a 350 ppm.
  • Acidificazione degli oceani – si misura il livello di saturazione dell’acqua marina superficiale.
  • Impoverimento dell’ozono stratosferico – si misura la concentrazione di ozono (O3).
  • Interruzione dei cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo – per il primo si misura la fissazione dell’azoto da parte dell’industria e dell’agricoltura, per il secondo si misura lo scarico di fosforo negli oceani (non deve essere più di dieci volte superiore allo scarico naturale).
  • Uso globale dell’acqua dolce
    • Acqua blu: la percentuale di acqua proveniente dalle precipitazioni atmosferiche che scorre nei fiumi verso il mare o che viene raccolta in laghi, falde acquifere o serbatoi. Finora gli studi hanno tenuto conto solo dell’acqua prelevata da fiumi, laghi e falde acquifere;
    • acqua verde: la percentuale di acqua proveniente dalle precipitazioni atmosferiche che viene assorbita dalle piante. Questo nuovo studio tiene conto in misura molto maggiore del ruolo dell’acqua, in particolare dell’umidità del suolo, nella resilienza della biosfera, nel garantire i pozzi di carbonio terrestri e nella regolazione della circolazione atmosferica.
  • Cambiamento dell’uso del suolo – meno del 15% della terra disponibile deve essere coltivata
  • Erosione della biodiversità – il tasso annuale di estinzioni deve essere inferiore a 10 estinzioni per milione di specie.
  • Nuove entità (Inquinamento chimico) – quando la produzione e il rilascio annuale di nuove entità supera la capacità della società di valutarle e monitorarle.
  • Aumento degli aerosol nell’atmosfera – concentrazione globale di particelle nell’atmosfera, su base regionale.

Superare questi limiti ecologici equivale a superare il limite di sostenibilità del nostro ambiente, mettendo a rischio la viabilità della nostra biosfera, delle nostre società e della nostra specie.

I limiti planetari sono come semafori, posti a una certa distanza dalle soglie per avvertire l’umanità e darle il tempo di reagire. Superare la zona di sicurezza d’uno o più limiti ci impone di cambiare i nostri modi di produzione e di consumo.

Secondo gli autori dello studio, la distinzione tra zone a rischio “crescente” e “elevato” non può essere definita con precisione. Ci sono prove sempre più evidenti che l’attuale livello di trasgressione dei confini ha già spinto il sistema Terra oltre una zona “sicura”. Tuttavia, manca ancora una teoria completa e integrata, supportata da osservazioni e studi di modellazione, per determinare il punto in cui si passa da un livello di rischio crescente a un livello di rischio molto alto con pericolo di perdere l’equilibrio sistemico che ha permesso la vita sulla Terra che conosciamo negli ultimi 12000 anni.

Per questo motivo gli autori hanno adottato l’approccio dei “tizzoni ardenti”, introdotto dall’IPCC per rappresentare le transizioni graduali da un rischio moderato (giallo/arancione) a un rischio elevato (rosso), quindi a un rischio molto elevato (viola).

 The evolution of the planetary boundaries framework. Licenced under CC BY-NC-ND 3.0 (Credit: Azote for Stockholm Resilience Centre, Stockholm University. Based on Richardson et al. 2023, Steffen et al. 2015, and Rockström et al. 2009)

Guardare in faccia la realtà

Ogni giorno di inazione climatica è un’altra occasione per dare cattive notizie. È il caso della dichiarazione ufficiale che il 6° limite planetario è stato superato.

L’eliminazione graduale dei combustibili fossili non è un’opzione. Non solamente è l’unica soluzione se vogliamo rispettare i nostri impegni climatici e sperare di limitare il riscaldamento globale a +1,5°C, ma è anche una questione di sopravvivenza per una parte dell’umanità.

“Alla luce di queste notizie disastrose sul superamento dei limiti planetari, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e apportare i cambiamenti necessari”

Spiega Farhana Sultana, ricercatrice sulla giustizia climatica e autrice di Water Politics: Governance, Justice and the Right to Water . L’autrice sottolinea giustamente che alcuni Paesi sono più responsabili di altri e che stiamo pagando a caro prezzo l’ideologia della crescita verde:

“La geopolitica dell’ingiustizia ambientale globale dimostra la necessità di un cambiamento di sistema per affrontare il degrado climatico e la crescita economica insostenibile. Concentrandosi sulle prospettive del Sud del mondo, si mettono in discussione le ideologie dominanti che promuovono l’iperconsumo, la sovrapproduzione e lo spreco, sottolineando l’incompatibilità della giustizia socio-ecologica con i paradigmi di crescita estrattiva e di sfruttamento. Le violazioni dei confini planetari e le loro dannose conseguenze socio-ecologiche sottolineano ulteriormente l’urgenza di decolonizzare le ideologie e le pratiche colonial-capitaliste, richiedendo una fondamentale riformulazione dei paradigmi per prospettare un futuro più giusto e sostenibile che smantelli i sistemi oppressivi e promuova una prassi orientata alla giustizia.”

Ulteriori letture

Immagina di copertina: images © GLOBAÏA

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